26 Gen La diagnosi prenatale
Le seguenti note sono rivolte alle persone e alle coppie interessate alla conoscenza delle problematiche della Diagnosi Prenatale. “Le informazioni riportate devono necessariamente andare ad integrarsi con il colloquio con il ginecologo di fiducia”, durante il quale viene anche riconosciuta la presenza di condizioni particolari indicanti la necessita di effettuare consulenze specifiche. Le informazioni riportate possono risultare strumenti utili per approfondimenti e scelte personali. Lo scopo è quello di fornire un contributo affinché la decisione di sottoporsi o, anche, di non sottoporsi alle varie metodiche di Diagnosi Prenatale sia consapevole delle possibilità, dei limiti, dei vantaggi e degli svantaggi connessi alle singole metodiche stesse.
In molti casi le anomalie cromosomiche possono essere previste e diagnosticate attraverso l’utilizzo di opportune metodiche di indagini che si definiscono genericamente test di screening e test diagnostici.
L’offerta dei test di screening è piuttosto ampia. Le opzioni possibili sono numerose e, di fatto, ritenute da autorevoli studiosi poco pratiche e confondenti. Essi individuano nella popolazione i casi che hanno più probabilità di presentare una malattia dei cromosomi, distinguendo gravidanze a basso e ad alto rischio di anomalia cromosomica. Quasi sempre rappresentano delle valutazioni statistiche e non forniscono una diagnosi. Hanno il vantaggio di essere innocui per la madre e il feto ma lo svantaggio di poter risultare falsamente alterati (falsi positivi) o falsamente normali (falsi negativi).
I test diagnostici, invece, hanno il vantaggio di dare una risposta certa sui cromosomi, individuando o escludendo direttamente la presenza di una certa malattia, ma lo svantaggio di essere invasivi con il rischio di causare l’aborto nell’1% circa dei casi (in alcune statistiche sono riportati valori inferiori!!).
L’obiettivo di ogni programma di screening è quello di ridurre al minimo possibile i falsi positivi (donne alle quali offrire la Diagnosi prenatale invasiva) e, contemporaneamente, aumentare il numero di feti affetti riconosciuti.
I test di screening
Il primo parametro utilizzato quale strumento di screening per la Sindrome di Down è stato l‘età materna sulla base dell’osservazione di un’associazione tra questa sindrome nel neonato e età avanzata della madre. Tuttavia tale metodo permette di identificare solo il 30% dei feti affetti e pertanto non dovrebbe più essere utilizzato.
Negli ultimi 20 anni sono stati introdotti altri indicatori di rischio aumentato, ecografici o biochimici, utilizzati singolarmente o in associazione, in un unico momento nel primo trimestre o in momenti successivi nel corso del primo e del secondo trimestre.
Allo stato attuale, nell’ambito dei test di screening, quello al contempo più diffuso, più semplice da eseguire e tra i più efficaci è il test combinato (che si effettua tra 11 settimane + 0 giorni e 13 settimane + 6 giorni) e che calcola il rischio sulla base di tre parametri: l’età materna (rischio di base), lo spessore della translucenza nucale ed un prelievo ematico per il dosaggio di free-betaHCG e PAPP-A. E’ indubbio che esso consente di raggiungere una sensibilità (85-90%), ossia una capacità di individuare i casi affetti, molto più elevata rispetto alla sola età materna (30%).
E’ importante considerare che, se il test risulta positivo non significa necessariamente che c’è un’anomalia dei cromosomi, ma piuttosto che questa risulta più probabile. Se la donna vorrà appurare se il feto ha veramente la malattia dei cromosomi oppure no, dovrà sottoporsi alla Villocentesi o, più tardivamente all’Amniocentesi. Inoltre, se i cromosomi sono normali, l’aumento della Translucenza Nucale, può essere correlato alla presenza di una malformazione fetale (particolarmente cardiaca). Se il test risulta negativo, significa che la donna risulta a basso rischio di avere un figlio affetto da un’anomalia cromosomica, per quanto non la si possa escludere in maniera assoluta.
Per quanto riguarda l’attendibilità del risultato, è molto importante che il test venga eseguito da operatori esperti, che seguono protocolli codificati, sottoposti a rigorosi controlli di qualità e che sappiano fornire una corretta informazione sul valore da attribuire ai risultai dei test.
Per quanto concerne il tipo di popolazione a cui proporre il test di screening (e in particolare il test combinato) va sottolineato come essi siano generalmente rivolti alle donne a basso rischio, indipedentemente, come abbiamo visto, dall’età materna.
Negli ultimi anni, anche in Italia, si sta diffondendo un altro tipo di test di screening: lo studio del DNA fetale circolante nel sangue materno (non invasive prenatal testing – NIPT). E’ un esame prenatale non invasivo che, analizzando il DNA fetale libero circolante isolato da un campione di sangue materno dalla decima settimana in avanti, valuta la presenza di alterazioni cromosomiche fetali relative ai cromosomi 21, 18, 13 ed ai cromosomi sessuali (X e Y).
Il test prevede anche l’opzione di un approfondimento diagnostico di secondo livello che consente di individuare la presenza nel feto di alterazioni cromosomiche meno comuni. La risposta viene fornita in 5-10 giorni lavorativi ed è estremamente affidabile, in quanto ha un’attendibilità che può arrivare al 99% nel rilevare le più comuni alterazioni cromosomiche, con percentuali di falsi negativi inferiori allo 0,1%. Il test prevede, inoltre, la determinazione del sesso fetale, informazione aggiuntiva gradita alla paziente.
A differenza del Test Combinato, il NIPT non è un test statistico ma si fonda sull’oggettiva valutazione del DNA fetale presente nel sangue materno e per questo risulta notevolmente più affidabile. Non è, comunque, da considerare una test diagnostico in quanto non da la certezza del risultato. Allo stato attuale non è suggerito come esame da eseguire in prima istanza nelle gravidanze a basso rischio, anche per il costo, ma non si può escludere l’estensione a tutta la popolazione nel prossimo futuro.
Test diagnostici
A differenza dei test di screening che hanno la caratteristica di esprimere esclusivamente un rischio alto o basso di malattia e di non essere invasivi, gli esami diagnostici invasivi permettono con certezza di identificare o di escludere la presenza di un’anomalia dei cromosomi.
Tali test comportano, però, un rischio di aborto aggiuntivo, rispetto alla popolazione ostetrica generale, stimabile intorno all’1%.
Le procedure più comunemente utilizzate di Diagnosi Prenatale invasiva sono la Villocentesi (prelievo di villi cordiali) e l’amniocentesi (prelievo di liquido amniotico).
La funicolocentesi (prelievo di sangue fetale) è riservata ad alcune condizioni particolari. Le indicazioni attuali alla Diagnosi Prenatale invasiva sono essenzialmente: 1) familiarità per malattie cromosomiche o genetiche; 2) presenza di malformazioni evidenziate all’esame ecografico; 3) positività ai test di screening.
Test di screening, test diagnostico invasivo e nessun test?
Il momento fondamentale che deve guidare la scelta è quello dell’informazione.La corretta informazione su cui basare le scelte personali dovrà fornire alle coppie da un lato la consapevolezza del rischio di malattia (es. rischio di Sindrome di Down per quella certa età della madre o in base ad altro test di screening), dall’altro quella del rischio di aborto connesso all’esecuzione delle indagini di Diagnosi Prenatale invasiva (generalmente stimata intorno all’1%) anche tenendo conto della presenza di particolari condizioni di rischio aggiuntivo (es. presenza di perdite ematiche, fibromi, ecc.).
Altro elemento che va a rivestire un peso importante per la decisione della coppia (non del medico), è il confronto con le personali convinzioni (anche etiche) e l’atteggiamento di fronte all’eventuale diagnosi di una malattia dei cromosomi a carico del feto. In definitiva, lo screening prenatale fornisce informazioni sul rischio individuale, per ogni donna in gravidanza, di essere portatrice di un feto affetto.
Ciò le consentirà, se soddisfatta dell’esito, di proseguire più serenamente la gravidanza oppure di prendere in considerazione, in modo consapevole ed autonomo, di sottoporsi alla Villocentesi o all’Amniocentesi ed ottenere una risposta certa sui cromosomi del feto.
- Villocentesi o Amniocentesi
- Spessore della Translucenza Nucale + free-beta HCG e PAPP-A (Bi-Test)
- Test del DNA fetale circolante nel sangue materno
Dott. Michele Arcaroli
Medico-Chirurgo
Specialista in Ostetricia e Ginecologia